Anche se il problema è di una certa importanza, non trova tanto ricorso nelle aule di tribunale e conseguentemente le sentenze di merito non sono particolarmente numerose.
Eppure, soprattutto negli ultimi anni di grave crisi economica, le problematica di morosità in generale e di fallimenti di condòmini, sono diventati quasi di routine.
Ma cosa succede, in generale, con il fallimento di un soggetto in generale ?
La “sentenza dichiarativa di fallimento” è l’atto formale con cui si conclama lo stato di insolvenza, irrisolvibile con altre procedure. Con tale sentenza vengono nominati sia il Giudice che il Curatore fallimentare; successivamente, il curatore promuoverà la costituzione del Comitato dei Creditori, scelti tra gli aventi diritto, e tra di essi e a cura degli stessi, il loro Presidente.
Con la sentenza dichiarativa di fallimento si mette in atto il c.d. “spossessamento dei beni”, che consiste nel passaggio del possesso e quindi della disponibilità degli stessi, restando comunque al fallito la proprietà dei beni stessi.
E il condominio cosa deve fare in caso di fallimento di un condòmino moroso ?
Due sono le ipotesi possibili:
- La prima: il curatore fallimentare è a conoscenza che tra i creditori vi è il condominio e, come per tutti gli altri, invia la comunicazione di rito con gli estremi delle generalità del fallito, della sentenza dichiarativa della procedura, delle figure nominate dal tribunale (giudice e curatore stesso), indicando la data entro cui presentare la c.d. “domanda di immissione al passivo fallimentare”
- La seconda: Il curatore non sa che tra i creditori vi è il condominio e questi, attraverso il proprio amministratore, quando ne viene a conoscenza, contatta il curatore e presenta comunque la domanda di immissione alla procedura.ATTENZIONE:
- Secondo il mio parere, la domanda di immissione ad un passivo fallimentare rientra nelle attribuzioni previste dall’art. 1130 n. 3 c.c. a carico dell’Amministratore e questi, come per l’atto ingiuntivo di cui al 1° c. dell’art. 63 disp. Att. c.c., non ha bisogno di autorizzazione o delibera da parte dell’Assemblea. Come conseguenza, in caso di non immissione ad un passivo fallimentare, l’Amministratore è responsabile in proprio per non aver adempiuto ad uno dei suoi compiti.Cosa succede prima e dopo la dichiarazione di fallimento ?
Relativamente a prima, tutte le azioni in corso vengono sospese, compresi gli atti ingiuntivi sprovvisti ancora di esecutività, ma sono titolo, insieme ad altri elementi di prova, per l’immissione alla procedura.
Relativamente a dopo, in conseguenza dello spossessamento dei beni e della relativa “presa in carico” da parte del Curatore fallimentare, ogni richiesta-comunicazione-convocazione per partecipazione ad assemblee e quant’altro di competenza condominiale, dovrà essere rivolta a quant’ultimo.
Per sopperire alla carenza di liquidità data dalla situazione fallimentare venutasi a creare, il condominio potrà costituire un “fondo speciale” per spese impreviste e straordinarie, rientranti nel godimento e conservazione delle parti comuni. Ma attenzione: salvo decisione all’unanimità, il relativo importo non potrà essere imputato ai soli condomini “virtuosi” o “non morosi”.
Viceversa, per spese che rivestono caratteristiche di comprovata urgenza, e per evitare ulteriori danni ben più gravi di quelli esistenti, questa limitazione è possibile e, come per un mutuo, i partecipanti possono essere legittimamente i condomini non morosi.
L’Art. 30 della legge 220/2012 (c.d. Riforma del condominio) così recita:
- I contributi per le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria nonché per le innovazioni sono prededucibili ai sensi dell’art. 111 del regio decreto 16 marzo 1942 n. 267 e successive modificazioni, se divenuti esigibili ai sensi dell’art. 63, primo comma, delle disposizione per l’ attuazione del codice civile, come sostituito dall’art. 18 della presente legge, durante le procedure concorsuali”Il recupero delle spese condominiali maturate anteriormente alla dichiarazione di fallimento non presenta particolari problemi, nel senso che esso avviene mediante la cosiddetta istanza di insinuazione al passivo fallimentare che l’amministratore ( non necessariamente con il patrocinio di un legale) è legittimato a presentare per conto del condominio senza necessità di preventiva autorizzazione da parte dell’assemblea.
Trattasi di una semplice domanda che va depositata presso il Tribunale che ha dichiarato il fallimento, dove bisogna indicare il credito vantato nei confronti del condomino fallito ed a cui occorre allegare i rendiconti comprovanti le somme richieste e le relative delibere di approvazione: il tutto entro il termine che lo stesso curatore ha l’obbligo di comunicare con congruo anticipo.
E’possibile anche una insinuazione tardiva, nel caso in cui il condominio non vi abbia comunque provveduto prima che sia stato reso esecutivo lo stato passivo del fallimento in esito alla verifica dei crediti.
E’però una procedura più particolare e delicata per il creditore, per cui è consigliabile che l’amministratore sia più che mai tempestivo nella presentazione della domanda di insinuazione, ad evitare di essere semmai chiamato a rispondere personalmente dei maggiori costi sopportati da condominio.
Le spese inerenti i periodi precedenti al fallimento vengono ammesse in via chirografaria, non essendo assistite da alcun privilegio: esse concorrono nella ripartizione dell’attivo con gli altri pari crediti e possono trovare proporzionale soddisfazione soltanto nel caso di un residuo attivo dopo il pagamento di tutte le spese prededucibili della procedura e dopo il pagamento dei crediti privilegiati. Il che significa che, nella maggior parte dei casi, la mancanza di privilegio rende minime le possibilità di un loro recupero soddisfacente in sede di riparto fallimentare.
Purtroppo però, i crediti condominiali, a differenza degli altri, continuano a formarsi anche dopo la dichiarazione di fallimento e meritano quindi un trattamento radicalmente diverso da quelli invece maturati prima.
Per rientrare però in questa fattispecie, si ripete, occorre che siano divenute esigibili durante la procedura e, quindi, dopo la dichiarazione di fallimento, il che significa che, tali spese, devono essere state oggetto di specifiche delibere/approvazioni da parte dell’assemblea dei condomini, ove, al posto del “fallito” è stato convocato il curatore fallimentare.
Si sta parlando infatti di spese inerenti la gestione dell’immobile nel periodo in cui esso è acquisito nella disponibilità della massa fallimentare e che sono considerate come debiti contratti per l’amministrazione del fallimento e quindi da pagarsi in prededuzione, vale a dire con precedenza rispetto a tutti i crediti maturati prima della dichiarazione di fallimento, quand’anche muniti di privilegio.
La ragione di tale scelta operata dal legislatore sta nel fatto che, trattandosi di spese che attengono la conservazione e la manutenzione dell’immobile, vanno ad arricchire anche l’unità immobiliare esclusiva e che devono pertanto totalmente gravare sulla curatela in quanto unica beneficiaria del ricavato della vendita di essa.
E’evidente che quanto meglio sono conservate e mantenute le parti e gli impianti comuni condominiali, tanto più interessante può presentarsi la vendita dell’appartamento del fallito: il tutto ad esclusivo vantaggio della massa fallimentare ,che perciò deve sopportare ogni relativo onere .
Sotto tale profilo è l’amministratore ad assumere un ruolo determinante nella riscossione degli oneri condominiali presso la curatela fallimentare.
Il “finale della storia” è data dall’esito della procedura fallimentare:
si può non ricavare nulla, si può ricavare tutto (?) o parte del credito.
Le situazioni cambiano secondo ciò che si è fatto in precedenza; si può aver costituito un fondo per tutto o parte del credito in sofferenza, tutti o solo alcuni possono aver versato la loro quota di fondo.
Se Il condominio non ha ricavato nulla dalla proceduta fallimentare. In questo caso il credito del condominio, diventa debito degli altri condomini e questi dovranno versare quell’importo in base ai millesimi di proprietà.
Nel caso in cui avevano già versato tutto o parte della somma per costituzione del fondo: se avevano versato tutto e, conseguentemente erano a credito dell’importo loro ascritto, lo stesso viene annullato perché non più rimborsabile. Se, viceversa avevano versato solo una parte, questa viene annullata come credito e, in aggiunta, viene addebitata l’eccedenza rimasta a carico dell’intero condominio.
Se, invece, dalla procedura si è ricavato tutto (quasi impossibile) o parte della somma inserita nella procedura, la somma riscossa andrà in diminuzione del debito del fallito, nel caso in cui non si era costituito alcun fondo. La stessa, nel caso di costituzione del fondo, andrà a favore di coloro che avevano contribuito alla costituzione del fondo stesso e nella stessa proporzione in cui avevano versate le relative somme.
Ovviamente, se la somma ricavata dal fallimento è solo una parte dell’intero, nella stessa quantificazione del ricavato, andranno chiuse le posizioni del fallito o di coloro che avevano contribuito ad alimentare il relativo fondo.
CARATOZZOLO dr RAFFAELE